Tutto su mia madre

mamma

Non tutti sanno, credo pochi, forse mia madre quando scopre che l’ho scritto m’ammazza, ma Marisa, appunto, mia madre, di secondo nome si chiama Pompea. Dunque, sulla carta d’identità alla voce nome troviamo: Marisa Pompea.

Marisa già non è di per sé fra i nomi più diffusi, conveniamo sul fatto che Pompea non sia tra primi della lista nel libro dei nomi. Troviamo Priscilla, Prospera, Proserpina, Prudenzia, Porzia, Placida, ma Pompea no.

Pompea, femminile di Pompei, perché lei, ultima e unica figlia femmina dopo 6 figli maschi, nata nel mese di Maria, meritava un devoto ringraziamento alla Madonna di Pompea.

In tempi di parti in casa, in un contesto di vita contadina, in un piccolo paese di montagna tra Pollino e Appennino Lucano, alle falde del Monte Raparo, dove mortalità infantile e altre sfortunate circostanze hanno consentito solo a 4 fratelli maschi di restare in vita, un giorno è arrivata lei, regalando ai non più giovanissimi Cumma Rosa e Cumba Carmine la gioia di una figlia sana, bella, forte e soprattutto femmina.

Poi crescendo Marisa ha iniziato a fantasticare il suo futuro a Milano, dove nel frattempo i suoi fratelli si erano già trasferiti col lavoro alla Garzanti di Cernusco, come fosse un miraggio, un’ancora. E un giorno a Milano poté anche lei trasferirsi, s’innamorò del cameriere più figo del ristorante di sotto e si mise a costruire pezzo dopo pezzo il sogno della sua vita: una famiglia, tutta sua.

Nel viaggio che la maternità mi sta proponendo, come in un gioco di specchi, proiettata continuamente indietro e avanti nel tempo, sono tante le immagini che si stanno componendo come flashback. E siamo sempre lì:

io e lei in cucina, io e lei davanti alla TV nelle nostre serate con Pippo Baudo e la Heather Parisi tutta che luccicava, io e lei a far la spesa allo Spaccio di Corso Genova, io che faccio sempre la ruota davanti al banco del pesce, lei che parla col Dino mentre ci riempie di giardiniera e mi allunga fettine di prosciutto crudo, io e lei che aspettiamo i due tranci di pizza al Tizzo il sabato sera, io e lei che facciamo una sera telegiornale e una sera Occhi di gatto, io che una sera lavo i piatti in piedi sulla sedia perché non c’arrivo e lei che li lava in quell’altra mentre io guardo Occhi di gatto, io e lei in Chiesa alla domenica, io che mi tocca ascoltare i Pooh e mi viene sempre da piangere, lei che mi lascia usare lo stereo della sala ed è sempre un regalo, io che la sento sempre parlare del ristorante di papà con tutti, pure col tranviere. Io e lei che quando fa caldo, di domenica dopo pranzo andiamo a prendere papà al ristorante, a piedi, vestite a festa.

E’ chiaro che i Pooh non sono diventati la mia band del cuore, anche se oggi quando mi capita di ascoltare nella mente c’è tanta, tanta voglia di lei….E chiudo gli occhi un solo istante, la tua porta è chiusa già, ho capito che cos’era importante, il mio posto è solo là….io a mettermi nei panni di quella ragazza di 25 anni con una bimba tra le braccia ci metto un attimo e quella bimba diventa una delle mie bimbe e quella mamma sono io, sempre io. Io e te mamma. Per sempre.