La pagina bianca

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Amava starsene chiuso nella sua stanza, piegato su un pacchetto di fogli bianchi, penna in mano, a scrivere di sé e dei suoi incontri. Come ogni sera, tolti i vestiti, poteva finalmente godersi il momento migliore della giornata. A riempire di parole una nuova pagina bianca, in compagnia dell’uomo che tra quei fogli bianchi prendeva vita, saziato d’inchiostro, rinvigorito dal suo tocco. Era curioso il modo in cui teneva la penna tra le dita, così come la forchetta quando mangiava. Sembrava un bambino alle prime armi. Concentrato come se nulla intorno più fosse. Nasce chiaro di capelli, magro e delicato nei tratti di un viso precocemente maturo.

Sempre in movimento, si fermava spesso a guardare gli altri, quelli grandi che osservava per registrarne i movimenti, codificarne le frasi. Capì molto in fretta quello che gli serviva per non diventare come loro. E tornava tutte le sere alla sua pagina bianca che aveva spazio sufficiente per contenerlo tutto e da solo con lui. Chino su quel rettangolo bianco riusciva a fare ordine, ascoltando la voce dell’uomo animato e registrarne le frasi. E proprio come lui voleva diventare. Ma giorno dopo giorno la pagina divenne sempre più piccola. La sua vista si affaticava a furia di scrivere caratteri sempre più minuti. Il bianco divenne sempre meno. Si costrinse a eliminare gli spazi tra una parola e l’altra, ad abbreviare le frasi, a cancellare interi pensieri e a colpo d’occhio, a poco a poco, della vecchia pagina bianca non restò che un misero francobollo macchiato di nero. Serviva più spazio. Altro spazio bianco.

Cominciò a tormentarsi, quello che non riusciva a scrivere, gli restava dentro a macerare, devastandogli lo stomaco. E quello che riusciva a scrivere non bastava per poterlo incontrare di nuovo. Di quel poco che restava scarabocchiato, niente aveva più un gran senso.

Cominciò a perdere forza, un vero tracollo, fallimento dopo fallimento. Le sere tornava nella sua stanza così disperato che oramai non aveva più forza nemmeno per togliersi i vestiti. Passò allora alle pareti della stanza, riempiendole in ogni angolo e poi ai bordi del letto, fino agli interstizi delle mattonelle. Cercò del bianco dappertutto. Scrisse, scrisse e scrisse ancora. Ma l’uomo della pagina bianca non tornò più.

Si chiuse in camera per giorni e notti in cerca di soluzione. Avrebbe fatto di tutto per avere indietro la sua pagina bianca e quella voce da ascoltare, anche solo un’ultima volta. La memoria stava lentamente cancellando il ricordo delle frasi annotate e in quell’ammasso di parole non riusciva nemmeno a risalire ai pensieri. Stava per dimenticarsi tutto. Non sapeva più formulare frasi diventate sconnesse e prive di senso. Aveva fin perso il ricordo di lui. O forse lui non c’era mai stato. E del bianco più nessuna traccia. Tutto divenne un mucchio di nero.

Volle provare a fermare il tempo. La sua ultima speranza per frenare quell’oblio incontrollabile e conservare nella memoria quel preciso momento. E poi lasciarsi andare ai confini sconosciuti dei suoi pensieri.

Scattò una foto con la sua polaroid. Cercò la giusta angolazione, si mise al centro della stanza, spalle ai muri di parole e click. Non apparve nessuno nella foto. Nessun soggetto, nessuna stanza, nemmeno l’ombra di un segno, un graffio, una traccia. Sorrise.

Era tutto un lampo di luce. Fu tutto un’immensa pagina bianca.

Illustrazioni di Monica Gorla / Illustrations by Monica Gorla