La Grande Bellezza a Bonola

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Me lo ricordo ancora con una certa lucidità il mio primo posto di lavoro. Su un viale come “viale Forlanini” dovrebbero tener conto che i numeri civici in velocità da accesso tangenziale è difficile trovarli. Per cui dovetti rifare tutta la strada almeno un paio di volte dopo essermi vista il mio numero apparire e sparire in un nanosecondo alle mie spalle. E una volta ridotta la velocità di crociera all’altezza giusta, varcata la soglia è iniziata la ricerca del capannone giusto, tra i vari e variegati. Un’ansia pazzesca, ma che importava, c’era quasi tutta la mia famiglia in macchina che attendeva di vedermi uscire col sorriso dal mio primo colloquio. Più di me, loro avranno avuto abbastanza tempo per interrogarsi sul dove sarei forse, eventualmente, chissà, finita a lavorare. Hanno avuto circa un’ora di tempo per farsene una ragione, a quattr’occhi col gommista dirimpettaio.

Ma io a venticinque anni non mi interrogavo più di tanto per definizione, mi lanciavo e basta. Un anno in viale Forlanini, qualche minuto a piedi da Linate, se avevo voglia di farmi due passi. Un anno o poco più in un seminterrato in zona Antennone Rai, ma la copertura del cellulare allora non era una mia priorità. Un annetto scarso a fianco del Duomo, per essere trasferita nei restanti due nei pressi di Rho Fiera, dove avrei preferito farmi una briscola coi musicisti di Casa Verdi in pausa pranzo, anziché angosciarmi per la chiusura mese, che tanto non si chiudeva comunque.

Avrei dovuto immaginarlo che sarei stata destinata a Bonola.

A cinque anni dal capannone qualche domanda in più avevo imparato a farmela e coscientemente ho previsto che Bonola sarebbe stato il miglior posto di lavoro di sempre.

I luoghi li fanno le persone che li abitano e sarà per questo che amo le periferie.

C’è un mio collega che quando va da qualche cliente in centro, prima di uscire dice, “Vado in paese”. Mi ricorda che mia nonna, nata e cresciuta alla Grotta, un rifugio tra le Alpi Apuane, quella frase l’avrà ripetuta tutti i giorni, magari più volte al giorno. Scendeva e risaliva. Quello che adesso chiamiamo trekking, per lei era “Scendo in paese” per prendere da mangiare o fare commissioni. Scendeva e risaliva. Il paese riusciva a vederlo anche da lassù, dal paese un giorno arrivò anche chi sarebbe diventato suo marito. Mi raccontava che è salito più volte per convincerla. Al paese scese e si trasferì quando i tempi si erano fatti migliori e della Grotta ha continuato a vedere un puntino di luce tra gli alberi, che si accendeva ogni sera. Naso in su, poteva vederla dal paese.

In paese io ci sono nata e mi piace ritrovarmi a Bonola per tre quarti di giornata. Ogni volta mi sembra di arrivare alla stazione capolinea di un altro paese, di scendere in un mondo dove il ritmo teso della metropoli non è ancora arrivato ad appiattire ogni angolo. Di angoli da guardare ce ne sono tantissimi e le persone che ritrovo mi propongono un sistema diverso che in questi anni ho imparato a conoscere.

La mia vita a Bonola ruota fuori e dentro uno dei più grandi centri commerciali di Milano e poiché dentro è un brulicare incessante in un’area confinata, fuori le distanze sembrano ancora più estese e gli spazi si svuotano. Talvolta anche gli occhi ce la fanno a svuotarsi e i rumori della città riesco a dimenticarmeli. C’è forse più nebbia, senz’altro più verde, tanto orgoglio e dignità incorniciata nei balconi curati dei condomini popolari.

Non ritrovo nessuna forma già vista, ripulisco lo sguardo dalla ripetizione di immagini e dall’omologazione dei gesti e come fosse sempre la prima volta, mi sorprendo per il saluto di chi ogni giorno trovo seduto sulla stessa panchina. E da quasi 5 anni, quasi tutte le mie giornate lavorative iniziano e si chiudono col suo “Ciao”, aperto, tonico, con una lunga pausa sulla A. CiAAAAo.

Mi pare evidente che per uno nato in zona Bonola, il vero primo centro città sia il Centro Commerciale e nelle mie pause pranzo ho capito meglio quale mondo questa grande casa, ospita.

Ricorda la via principale di paese da fare avanti e indietro nelle serate estive, incrociando volti e un’umanità che via via diventa familiare. Avanti e indietro, avanti e indietro.

Non mi spiegavo il perché alcune signore anziane passeggiassero appoggiate al carrello della Coop. Ho capito che per loro il carrello fa da carrello e deambulatore allo stesso tempo. Quando prendono posto sulle panchine per mangiare, alcune li usano per tenere il posto a qualcun altro, che non arriva mai. Credo che non riuscirò mai a riprodurre l’incredibile monologo di una signora impegnata a raccontare la storia della sua vita, mentre ero in fila da Paolino il Mago dello Spiedino.

Il Centro Commerciale è un po’ villaggio, un po’ luna park, è un posto riparato dove trascorrere del tempo, un tempo diverso da quello al quale ero abituata.

E ho bisogno di diversità, di autenticità, per me vera Bellezza. Avevo bisogno di Bonola per togliermi di dosso un po’ di fiacca e noia metropolitana.