Generazione Erasmus, dieci anni dopo

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Non c’è niente al mondo che mi faccia ridere più di mia madre quando fa le battute in dialetto. Rido tantissimo perché l’energia trasmessa dalle sue frasi e modi di dire in dialetto lucano è difficile trovarla in altre forme di linguaggio. Rido tantissimo perché parlando in dialetto mia madre ha una potenza comica inimitabile. Un concentrato di donna in un concentrato di musicalità fatta in battuta, frutto di una cultura di paese che ha trovato nell’allegria un modo per alleggerire le fatiche. Rido perché quando parla in dialetto è genuina e schietta. Ma questo è sempre stato un privilegio di pochi, perché fuori casa mia mamma si concentra a non rivelare troppo della sua meridionalità, mostrando quel tratto di riservatezza tipica del popolo lucano.

Mio padre invece il dialetto lo mette dappertutto. Il suo toscano nell’infinità varietà di provenienze è quello dell’Alta Versilia che ho scoperto avere qualcosa più in comune con il dialetto ligure, per vicinanza, ma è pur sempre toscano e i toscani si possono riconoscere in qualunque conversazione.

Provare la cadenza di uno e dell’altro è sempre stato per me un gioco molto divertente. Più li ascoltavo e più avevo voglia di registrare quei suoni tipici e di riprodurli identici e dopo le vacanze nei rispettivi paesi tornavo a casa ogni volta più toscana e più lucana.

Per questo quando mi chiedono di dove sono, amo ripetere che sono nata a Milano, ma sono figlia di un toscano e di una lucana. Mi ritengo una fortunata, ma non certo l’unica, in questa grande città. E forse proprio per l’evidente mescolanza di provenienze, la vivacità e gli incontri fatti nella mia città di nascita che mi sento una milanese doc, riferendomi alla Milano che nelle differenze sembra aver trovato il segreto di un’eterna giovinezza, che si trasforma a vista d’occhio, alimentando la sua cultura viva e in continuo movimento.

E certamente il brio toscano e il fascino lucano hanno dato senz’altro il proprio importante contributo.

Poi succede che un giorno mi trovo a passeggiare con la mia famiglia in un parco di Vienna in compagnia dei nostri amici che in questa grande città sono nati o sono emigrati e la storia si ripete.

Perché oggi a passeggiare qui a Vienna siamo tre coppie e non c’è uno solo tra noi che abbia la stessa origine: c’è un’italiana con un austriaco, un’indiana con un polacco, una serba con un persiano. Siamo una generazione che si è mescolata, pur mantenendo forti i legami con la cultura d’origine. Siamo una generazione che si è incontrata a Vienna, a Milano, nel Mondo e si è innamorata, che ha studiato una lingua straniera provando a coglierne tutte le sfumature, attraverso i modi di dire, i suoni, la ritmica e che continua a parlare la propria lingua del cuore coi figli. La nostra cultura d’origine è stata un punto di partenza per dare inizio a una conversazione, un’amicizia, un legame che continua ad alimentarsi di differenze e a incuriosirsi di quello che non conosce.

Sono italiana, milanese, figlia di un toscano e una lucana, sposata con un viennese che ha scelto di vivere in Italia, scoprendo attraverso una lingua straniera e le sue sfumature dialettali qualcosa in più di sé, che gioisce tra teglie di lasagne, una famiglia molto rumorosa, in una terra circondata dal mare, ma che troverà sempre pace al cospetto delle sue montagne, con in mano birra e käsekrainer. E io pure.

Prost!